IL FISCHIETTO di Antonio Sartoris
Per questo mio nuovo blog (alias rubrica) – vedasi “lettere ad Ulisse” e “racconti fattuali”-, ho riesumato il titolo di una famosa rivista satirica fondata a Torino nel 1848. Il proposito era quello di “fischiare su tutte le cose ingiuste, contro i codini, contro le limitazioni alle libertà civili, alla libertà di parola e di stampa” . Penso che a distanza di tanti anni ci sia ancora molto da fischiare.
lunedì 25 ottobre 2021
DOVE SIAMO RIMASTI ?
Cari lettori
E' incredibile ma vero che l'ultimo fischio che ho tratto dal mio FISCHIETTO l'avete sentito nel febbraio 2020. Per la pandemia e per la mia pigrizia è da allora che non comunico ai miei lettori, tanti o pochi che siano, i miei pensieri su arte, spettacoli, effemeridi etc. e con Loro mi scuso.
Tuttavia non è che non ho più visto o sentito nulla in questo lungo periodo: un po' mi sono impigrito un po' ho sacchegiato Yutube e la mia vasta raccolta di DVD, e un po' ho scritto: vedi nelle LETTERE A ULISSE DI ANTONIO SARTORIS e NEI RACCONTI FATTUALI DI ANTONIO SARTORIS.
Ora ritorno a fischiare sia positivamente che negativamente e per incominciare comincio proprio così, con un fischio negativo che più negativo non si può (FISCHIO 0) . Oggi, sono appena ritornato dalla sala Mosca del Conservatorio Musicale Ghedini di Cuneo, dove avevo saputo da una brevissima, nascosta notizia della pagina locale de La Stampa, che avrebbe dovuto essere eseguito un concerto di una giovane ma ormai celebre pianista, SOPHIE PACINI (vedasi il suo importante curriculum artistico su Wikipedia). Questo concerto era organizzato dalla associazione italo-tedesca LINUS di Mondovì, nell'ambito di un neonato FESTIVAL GIOVANI EUROPEI DI MONDOVI'. In effetti la pianista Sophie Pacini eseguì il suo concerto ,Domenica 24 ott. nella Sala del Circolo di lettura di Mondovì Piazza, con in programma il celebre ciclo "Carnaval - op.9" di Robert Schumann e mi dicono con notevole pubblico e meritato successo. La Associazione Linus-Cultura con gesto meritorio che vorrei fosse "imparato" anche da tutte le piccole e/o grandi entità culturali della Provincia, aveva pensato di offrire oggi, Lunedì 25 ott., questo straordinario concerto anche al pubblico di Cuneo e ciò prendendo accordi con il Direttore del Conservatorio musicale. Pertanto, puntuale alle ore 17, mi sono affacciato nella sala Mosca di detto Conservatoro. C'erano tre o quattro persone di Mondovì e la pianista, incredibile ! Ho subito capito che la organizzazione del concerto praticamente non c'era. Chi doveva organizzare il concerto di Cuneo ? Probabilmente il Conservatorio stesso ma da informazioni fatte pervenire alla Associazione Linus-Cultura doveva pensarci il Rotary Club di Cuneo. Sta di fatto che il pubblico non c'era. Ma la cosa incredibile era che non c'era neppure il pianoforte o meglio il pianoforte Stenwai gran co farte neanche la minima scusa verso le tre persone (fra cui il sottoscritto) che erano venute al concerto, se ne andarono via, come si dice, "con le pive nel sacco". Comunque sia andata la cosa il Conservatorio di Cuneo non ha fatto una bella figura ma non era una novità per me. Non dimenticherò mai il comportamenmto, inescusato, che il Direttore del Conservatorio G.F. Ghecdini aveva avuto verso la Fondazione Casa Delfino a proposito del premio Ghedini, fondato dalla figlia del compositore, vicenda che mi pare vi ho già raccontato.
Ho ancora molte cose da ricordare e da fischiarvi nella testa, come sempre, se volete leggermi. A presto risentirci e ciao ANTONIO
martedì 18 febbraio 2020
CHECOV NON CECHOV
Martedì 11
Febbraio 2020 sono stato al Toselli (della cui stagione teatrale sono abbonato).
Avevo molta fiducia di vedere realizzato teatralmente un testo del mio
ammiratissimo Anton Cechov dal titolo PLATONOV. Era un testo che non conoscevo
ma il teatro di Cechov con le pause ed suoi silenzi, la melanconia struggente
dei suoi personaggi, si.
Invece mi sono trovato difronte ad uno spettacolo prorompente agitazione, grida,
violenza, poco cechoviana. Credevo di attribuire il tutto
alla “riscrittura” di Marco Lorenzi (che era anche il regista) e Lorenzo De Iacovo,
operazione molto frequente e spesso infedele nei confronti degli autori.
Invece andando a cercarmi la
storia di Platonov ho appreso che questa è la prima delle opere teatrali del
giovane medico che si affaccia su una società spietata e violenta quale la
Russia del clima dei ” servi della gleba” (abolita solo nel 1861 l’anno dopo
quello della sua nascita) . E’ da questo
clima in cui era cresciuto, Cechov giunge
alla conclusione che “la madre di tutti i mali russi, è l’ignoranza che
sussiste in egual misura in tutti i partiti,
in tutte le tendenze” (cosa che
avviene anche oggi e non solo in Russia n.d.r).
Forse è perciò che Cechov concepisce Platonov , già maestro elementare, diventato cinico, che ama
apparire in società come un gaudente che vive delle glorie e degli ideali della
sua promettente giovinezza. Invece è un
uomo senza qualità, un fallito, narcisista al punto di non comprendere né
considerare le esigenze di chi gli sta intorno : la moglie , tanto gelosa
quanto premurosa , e le sue tre amanti, ovvero la sua vecchia compagna di studi
appena sposata , una giovane sedotta ed abbandonata e una squattrinata vedova
di origini nobiliari. Nella versione
presentataci al Toselli , vi è poi uno squallido strozzino
(rappresentante della nascente borgesi
russa). Scrive un critico: “ La
monotonia della nebbiosa provincia russa sembra avvolgere tutto, conferendo ai
dialoghi ed ai personaggi stessi un’atmosfera sbiadita e rarefatta, il sentore
di una ipocrisia latente , che inesorabilmente contagia i difficili rapporti
umani. Il sentimento dominante è la noia che appare fin dalla prima battuta
dell’opera e per sfuggire a questa impalpabile malattia dell’esistenza si è
disposti a tutto: a sedurre ed essere sedotti, sognare partenze impossibili
verso “nuovi mondi” oppure cercare una facile e pericolosa evasione nell’alcool,
da sempre vera piaga sociale della Russia.
Forse per questo tutte le donne amano Platonov, perché rappresenta il
sogno di un cambiamento, dell’avventura, della giovinezza anche solo per
rompere la piattezza della quotidianità.
Platonov paradossalmente attrae le donne spaciandosi proprio per il
nuovo che avanza, con i suoi discorsi vani, i suoi falsi ideali, il suo fascino
di reduce, che, pur sconfitto dalla vita, continua ad avanzare per inerzia,
memore degli effimeri successi passati. Non è un caso che Cechov abbia scelto per lui la professione
del maestro di scuola: un “cattivo maestro”, appunto in una società che scivola
velocemente verso un’ irreversibile decadenza””.
Questo quadro è il mondo del Cechov maturo e ripiegato su se stesso (lo vedremo –
spero - ne “Il giardino dei ciliegi”) ma
in Platonov - secondo me - vede un mondo
che gli ripugna e che vorrebbe cambiare : quello di un vinto che nella violenza
e nell’alcool cerca di non scivolare nel fango che lo soffoca però si omette il quarto atto dove l’eroe eponimo muore : è Cechov a cancellarlo !
Forse la “riscrittura” e
la rappresentazione del Platonov visto al Toselli voleva fare emergere tutto ciò (e che altro ?) ma la sottigliezza psicologica di Cechov è stata
soverchiata dalla interpretazione del
ruolo da parte di Marco Sinisi urlata
sul pubblico e anche sugli altri personaggi, peraltro scialbi. Scenografia con pareti mobili e diapositive
disturbanti.
Il pubblico è stato travolto ed ha applaudito lungamente e
“sonoramente” con ragione, forse.
VOTO 8 (otto)
sabato 8 febbraio 2020
ALTRI DUE MONOLOGHI al TOSELLI di Cuneo
- Dopo una breve pausa, dovuta alla fragilità del mio corpo, ritorno ad occuparmi della stagione teatrale tuttora in corso al nostro Teatro Toselli. Veramente una stagione teatrale dovrebbe consistere in "teatro" cioè azione dialogante, mentre finora sul palcoscenico del Teatro Toselli sono stati presentati finora ben 7 monologhi più o meno teatralizzati. Ho l’impressione –mia personale – che su questa abbondanza di monologhi possa aver influito l’aspetto economico. Con un solo attore recitante e, in genere, pochi mezzi scenici, gli spettacoli dovrebbero costare relativamente meno del solito, sia per chi li realizza sia per chi li acquista. Dirò di due degli ultimi spettacoli rappresentati al Toselli. “Manuale di volo per uomo” (30 Genn. 2020) monologo di Simone Cristicci, e “Trieb. L’indagine” monologo di Chiara Ameglio (Venerdì 7 Febbraio 2020).
Un accenno (non
merita di più) su “TRIEB. L’INDAGINE”.
Il mio
giudizio su questa idea, coreografia e interpretazione, di Chiara Ameglio è
quello di una " cagata pazzesca" (scusatemi la volgarità dell’espressione del
resto usata ormai nel linguaggio comune).
L’agitarsi continuo della unica
protagonista tra teatro (peraltro quasi muto) e danza (o meglio
ginnastica) non consente al pubblico di
percepire un bel nulla tanto che alla sommessa domanda finale della “attrice”,
“ho detto qualcosa ?” io rispondo convintamente, “ non hai detto un bel nulla anche con quel finale del tuo corpo nudo". Il
pubblico anche - se chiaramente disorientato - ha applaudito, ma stavolta
poco, indotto soprattutto dalla giovinezza ed incoscienza .
VOTO 5 (cinque)
Di tutta altra stoffa è fatto il “MANUALE
DI VOLO PER UOMO” monologo di Simone
Cristicci e Gabriele Ortenzi.
Simone
Cristicchi è un cantautore, attore teatrale e scrittore italiano. È stato il vincitore del Festival di Sanremo
2007 con il brano “Ti regalerò una rosa”. Dal 2017 è il direttore del Teatro stabile
d'Abruzzo. Oltre a cantare, e ce ne ha dato un piccolo
campione a fine spettacolo, ha ormai una consistente esperienza d’attore per
cui il contenuto e la recitazione del suo monologo “manuale di volo per uomo” sono stati coinvolgenti.
Chi di noi (uomini) non
fa – in un certo momento della vita – il bilancio della sua esistenza ? : il
“volo” io lo interpreto così. Se poi tale bilancio è esposto in presenza del ricordo
della madre emergono errori e dimenticanze che hanno bisogno di un perdono e di
una consolazione. Tale bilancio lo fa l'attore Cristicchi con molti gesti e parole, ed è teatralmente
efficace.
Il testo forse non è quello di un Ingmar Bergman nei suoi
film del sogno e del ricordo (vedasi “Il
posto delle fragole”) ma le parole ed i gesti scenografici di Cristicci sono
stati convincenti a determinare la partecipazione del numeroso pubblico cha ha
quindi molto applaudito con ripetute chiamate al proscenio dell’attore.
VOTO 9 (nove)
sabato 7 dicembre 2019
IL SILENZIO GRANDE al TOSELLI
“Il
silenzio grande” commedia/tragedia di Maurizio de Giovanni è stato
rappresentato al Teatro Toselli Venerdì
6 Dicembre 2019, presentato dal
Centro di produzione teatrale Diana Or,i.s (queste compagnie sono spesso
misteriose e fugaci).
Si tratta di
uno spacco di vita famigliare ove
– come dice la presentazione ufficiale – la verità che i protagonisti, si
dicono, a volte si urlano o si sussurrano, ed
in cui, nei momenti più drammatici, l’autore ha pensato possano
esplodere anche risate,
divertimento, insomma la vita. In questo tipo di vita evidentemente tanta parte del pubblico si è
immedesimata punteggiando il testo di
numerosi applausi.
La
incomunicabilità tra padri e figli, tra moglie e marito, i piccoli silenzi che finiscono nei guasti del
grande silenzio è un tema ricorrente in tanti casi umani, il decadimento anche
economico della piccola borghesia è una situazione reale e diffusa.
Sono
tracce drammaturgiche dei testi di A. Cekov,
di H. Ibsen, L.Pirandello e, più vicino
a noi, del teatro di Eduardo De Filippo, ma che interpretate da lui, specie per
i momenti della rabbia e della disperazione, sono veramente vita.
Massimiliano
Gallo (il padre sempre in scena) è vitale ma non troppo , Stefania Rocca partecipe
ma non troppo , Monica Nappo portatrice
di quel dolce che l’autore vede nell’amaro della vita, ci allieta. E così va bene un finale a lieto fine - a sorpresa proprio come un giallo di De
Giovanni – perché, qualche volta, non tutto il male vien per nuocere. Va benissimo la sciolta regia di Alessandro
Gassman, regia coadiuvata
da effetti sonori e visivi efficaci per cui il risultato dello spettacolo
è stato molto apprezzato dal pubblico cuneese che ho visto impegnato in
calorosi applausi (persino con qualche fischio di approvazione), ripetute chiamate alla ribalta degli attori chiaramente stupiti e commossi dalla vista di
un teatro bomboniera come il nostro Toselli, così partecipe e vivace
FISCHIO 9 (nove)
lunedì 2 dicembre 2019
MADRE COURAGE E I SUOI FIGLI di Bertold Brecht al "TOSELLI"
Nella stagione
teatrale del nostro Teatro Toselli e precisamente il 28 Febb.2018 è stata
rappresentata da parte del Teatro dell’Elfo di Milano l’opera teatrale di B. Brecht “il Signor Pùntila e il suo
servo Matti”, Venerdì sera 29 Novembre
2019 è ritornata sul palco del Toselli un’ altra celebre opera teatrale di Bertold
Brecht MADRE COURAGE E I SUOI FIGLI
traduzione Roberto Menin
drammaturgia
musicale e regia Paolo Coletta
musica Paul Dessau
produzione
Società per Attori e Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione
con Fondazione Campania dei Festival - Napoli Teatro Festival Italia .
Trovo
comodo e valido usare come premessa al
commento di questa rappresentazione di un altro, famoso dramma di Brecht, quanto ho scritto allora, e cioè.
Facciamo un po’
di storia . Bertolt Brecht è nato ad Augusta il 1° Febb. 1898
e morì a Monaco di Baviera il 14 Agosto 1956. La sua enorme produzione
letteraria (teatro, poesia, racconti, aforismi) esprime una grande capacità
compositiva e poetica e abilità nel narrare storie estremamente vitali per
leggere il nostro presente . La vita lo portò a confrontarsi nel modo più
aspro, vivendo gli anni dell’ascesa del nazismo ed essendo infine costretto ad
emigrare, prima in altri paesi d’Europa e poi negli Stati Uniti, come molti
intellettuali tedeschi della sue generazione.
Venendo al suo
teatro, Antonio Audino nella Storia del Teatro moderno e contemporaneo dice
: è facile notare in esso una sua visione del tutta autonoma ed
originale ed insieme un pensiero ancor oggi vitalissimo. In estrema
sintesi è un pensiero politico, che, come in lui in tanti spiriti di alta
idealità, consiste in una infinita fiducia nell’uomo e nelle sue qualità, una
convinta adesione alle istanze più profonde dell’anima di ogni persona,
travolte, mortificate e spesso cancellate dalle strutture che governano la
società. Per fare ciò Brecht si rende conto che bisogna rinnegare l’idea che il
teatro sia un luogo di evasione dove sentirsi raccontare storie, dove palpitare
delle vicissitudini di un eroe, attraversando, grazie e lui, una catarsi
liberatoria. Per Brecht, prosegue Audino, il problema di fondo è quello di non far
perdere capacità critica e intelligenza allo spettatore, di non coinvolgerlo in
una mimesi che lo ponga al centro di una realtà parallela, soprattutto non
mettendo a tacere, in cambio di una banale emozione psicologica, la possibilità
di ragionare intorno a quanto si sta osservando. Brecht ripudia
l’immedesimazione dello spettatore, lo vuole sveglio, attivo, capace di
elaborare nuove forme di pensiero attraverso lo spettacolo, magari anche di
opporsi e di entrare in contraddizione con il fatto artistico. Non teatro
di diletto e di evasione ma teatro di rapporto con la polis, la società,
da cui teatro epico, ma che insieme si allontana in modo drastico
e definito dall’idea che la scena possa in qualche modo assomigliare alla
vita. Vale la pena di riprendere qualche citazione da B.B. “Teatro
di divertimento o teatro di insegnamento” in - Scritti teatrali, Einaudi,
Torino,1962 - per la migliore comprensione di cosa si intende per “teatro
epico”. “ Alcun aspetto della rappresentazione – scrive Brecht – non doveva più
consentire allo spettatore di abbandonarsi, attraverso la semplice
immedesimazione, ad emozioni incontrollate (e praticamente inconcludenti). La
recita sottoponeva dati e vicende ad un processo di straniamento, quello
straniamento che è appunto necessario perchè si capisca (...) . Lo
spettatore del teatro drammatico dice: - sì, anche io ho provato questo
sentimento. – sì anche io sono così – bè questo è naturale – sarà sempre
così, la sofferenza di quest’uomo mi commuove, perchè non ha altra via d’uscita
– Questa è grande arte: qui tutto è ovvio, è evidente. – Io piango con quello
che piange, rido con quello che ride. --- Lo spettatore del teatro
epico dice: A questo non ci avrei mai pensato – Questo non si deve fare
così. – E’ sorprendente, quasi inconcepibile. – Non può andare avanti così – La
sofferenza di quest’uomo mi commuove, perchè avrebbe pure una via d’uscita ! –
Questa è grande arte: qui non c’è nulla di ovvio, - Io rido di quello che
piange, piango di quello che ride.””
Dunque il teatro
epico è un teatro che risveglia il pensiero - conclude Antonio Audino (come
sopra), che crea una contrapposizione tra lo spettatore e quello che gli accade
davanti, che vuole portare il pubblico ad un atteggiamento critico rispetto
alle vicende narrate ed ai personaggi, giacchè questi sono comunque delle
metafore di condizioni sociali precise, e l’obiettivo finale resta quello di
riflettere sulla società in cui si vive. Per questo il teatro epico
viene definito dialettico e didattico.
Questo
è quanto dicevo a premessa del commento
allo spettacolo di “Puntila ed il suo servo Matti” e non posso che ripeterlo a
commento della rappresentazione di Madre Courage .
Scritta nel 1938 da Brecht durante il suo esilio, Madre
Courage e i suoi figli, tra i capolavori del drammaturgo tedesco, è
un’opera di denuncia degli orrori della guerra dei Trent'anni., degli orrori di
tutte le guerre. Il dramma si sviluppa tra contraddizioni e antinomie,
attraverso il personaggio principale, Anna Fierling, vivandiera al seguito
dell'esercito e madre di tre figli che cerca a suo modo di proteggere, pur
occupandosi con scaltrezza di fare affari con i soldati vendendo le sue
mercanzie. Anna perderà i suoi figli inesorabilmente uno dopo l’altro, ma
nonostante il dolore per questo lutto, continuerà ostinatamente a maledire la
pace e a credere che non tutto sia perduto per il suo commercio e la sua
sopravvivenza economica. In questa vicenda come nel raccontarne altre Brecht
usa il procedimento ironico del ribaltamento delle situazioni. In una
situazione di estrema tragedia quale è quella provocata dalle guerre Madre
Courage invece di invocare la pace la teme e la maledice come attentato al suo
commercio di mercanzie piccole e misere ma – per lei - e per i suoi figli unico
mezzo di sostentamento. E’ questo il drammatico dilemma tra il morire per miseria o morire per
violenza in cui si trova Madre Courage. E lei. per miseria, giunge a maledire la pace anche di fronte al
più tremendo dolore che possa provare una madre, la perdita dei suoi figli, qui
proprio nell’invocata guerra.
A ben
intendere l’ironia della situazione immaginata da Brecht giunge a far preferire
a Madre Courage i danni della guerra a quelli della miseria. Si tratta di ironia razionale e satira
realistica veramente amarissime perché i dilemmi tra miseria e morte (vedi Ilva
di Taranto) sono ancora attualissimi.
Non posso che dire bene di questa compagnia numerosa
(alla faccia dei soliti monologhi autocelebrativi – tranne quello di Ottavia Piccolo) che ha rappresentato il testo brechtiano con
spirito “epico” che vuole qui significare anche costumi, scene povere (con un
incombente buco di celluloide alla moda
di Burri) e suoni adatti a tempi di
sangue e miseria. (Per guerra dei trent'anni s'intende una
serie di conflitti armati che dilaniarono l' Europa centrale tra il 1618 e il
1648. Fu una delle guerre più lunghe e distruttive). I suoni erano quelli originali della musica composta
da Paul Dessau in linea con lo stile brechtiano di Kurt Weil. La regia e la drammaturgia musicale (?) erano di Paolo Colella : con un testo di Brecht cosa può fare un regista se non Brecht e qui c'era ? Gli attori meritano di essere nominati tutti: Mauro Marino,
Giovanni Ludeno, Andrea Paolotti, Anna Rita Vitolo, Roberto Pappalardo, Tito
Vittori, Marco Autore, Ludovica D’Auria, Francesco Del Gaudio, ma sopra tutti svettava la interpretazione
appassionata della protagonista : Maria Paiato.
Sempre in scena, con un testo lunghissimo e accidentato sempre sulle
labbra, con la variazione dei toni
dall’impetuoso al mesto, questa sua Madre Courage mi ha ricordato la interpretazione
storica di Lina Volonghi, e non è poco. La sua energia ha trascinato tutta la
compagnia nella satira realistica di Bertold Brecht, che forse non tutti del
numeroso pubblico ha capito e/o approvato ma che tutti hanno applaudito, non
fragorosamente, ma applaudito con ripetute chiamate al proscenio.
FISCHIO 10 (dieci)
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